Luigi Berlinguer: curricolo, competenza, cultura
Editoriale di Ivana Summa
Nel 2017, il Prof. Luigi Berlinguer concesse a questa rivista una interessante intervista che chiedeva risposte ad alcune domande riguardanti l’evoluzione dell’autonomia scolastica, così come rivisitata dalla legge 107/2015 e da uno dei suoi decreti attuativi, il n. 60/2017- Norme sulla promozione della cultura umanistica, sulla valorizzazione del patrimonio e delle produzioni culturali e sul sostegno della creatività. Dopo alcuni mesi, il 29 gennaio 2018, il CIDI di Bologna, in collaborazione con la casa editrice EUROEDIZIONI, organizzò un importante seminario dedicato al Curricolo della creatività, patrocinato dal Comune di Bologna, che concesse la sala dello Stabat Mater della Biblioteca dell’Archiginnasio. In occasione di quell’evento, Luigi Berlinguer - chiamato a dare il suo contributo sul tema della creatività - tenne una coinvolgente e appassionata relazione sulla funzione formativa della cultura artistica tra creatività, innovazione e competenza emozionale. Sono passati quasi sette anni e ancora oggi si dibatte su questi stessi temi che, nel frattempo, si sono articolati in modo problematico per il diffondersi di nuovi fenomeni sociali e sconvolgimenti tecnologici. Tutto il suo intervento fu centrato intorno a quelle che, per sintetizzare, potremmo definire le “3C”: Curricolo, Competenza, Cultura. Il costrutto di curricolo, come è noto, è figlio diretto dell’autonomia scolastica che, all’art. 8 del DPR n. 275/1999, prevedeva che fossero le scuole ad elaborare i curricoli per l’acquisizione di competenze da parte di tutti gli alunni, così da garantire il successo formativo. In concreto, si chiedeva alle scuole autonome di mettere in moto una creatività progettuale che chiedeva di rinunciare alle certezze dei programmi da svolgere, volgendo lo sguardo alla persona umana in tutta la sua complessità e globalità. Fu colto, proprio in quell’occasione, il nesso tra autonomia e formazione, da orientare alla crescita intellettuale di ogni singolo alunno perché le sfide che la scuola è chiamata ad affrontare in modo straordinariamente rapido e dirompente sono tali che non possono essere colte ed interpretate accrescendo il numero delle nozioni. I nostri curricoli nazionali sono già overload. E sappiamo che questo termine in informatica sta ad indicare sovraccarico di informazioni e di istruzioni, tale da provocare il blocco del “sistema”.
E così, anche il sistema scuola è sovraccarico di discipline ed educazioni, alcune con orario predefinito e altre da insegnare attraverso le altre discipline, con voto o senza voto. Tutto ciò - è sotto gli occhi di tutti noi - provoca malessere istituzionale per la scuola che, presa dalla impellenza di applicare norme, direttive, indicazioni e linee guida, ha smesso di fare ricerca e di autoinnovarsi e ha bloccato l’autonomia ai nastri di partenza. Infatti, abbiamo voluto recensire il volume a cura di Nicola Serio - Una scuola sostenibile. Itinerari pedagogici e tendenze evolutive - che ha il pregio di ripercorrere tutte le innovazioni che, tra teoria e pratica, tra stimoli accademici e interpretazione di bisogni ed aspettative sociali, di fatti ha segnato le scuole dell’infanzia e del primo ciclo collocate lungo la via Emilia. Erano gli anni - dai settanta fino a fine secolo e prima dell’autonomia scolastica - in cui l’Università di Bologna lavorava concretamente con le scuole ed ispirava le politiche territoriali, curvando l’offerta formativa verso la sua forma curriculare, fatta di scelte consapevoli perché nate da riflessioni pedagogiche, didattiche ed organizzative.
Non vi è dubbio che l’idea di autonomia tratteggiata nel DPR n. 275/1999 richiedeva - e richiede - un impegno ed una capacità di innovazione straordinari da parte di tutti gli attori del processo formativo che si muovono dentro e fuori la scuola, al centro e nelle periferie e proprio in questi protagonisti poneva la sua fiducia il Ministro Berlinguer. L’impegno delle scuole in tutti questi anni è andato crescendo ma nella direzione sbagliata e con un movimento vorticoso, soprattutto per inseguire le tante procedure amministrative che sono diventate vere e proprie “molestie burocratiche” (e questa espressione non l’abbiamo inventata noi!) che distolgono la scuola dalla sua funzione istituzionale e costituzionale. Al vecchio centralismo, infatti, si è sovrapposto un nuovo insidioso centralismo volto - dopo il decentramento amministrativo voluto dalla legge delega n. 59/1997 e l’evoluzione del D.lgvo n. 165/2001- a garantire unitarietà di governo a tutte le pubbliche amministrazioni, emanando direttive che, di fatti, hanno ingabbiato le scuole tanto da impedire loro di “volare”. Dopo l’autonomia, in teoria, non ci sarebbe stato più bisogno di riforme scolastiche, perché era nato un modo nuovo di riformare le scuole, senza dare disposizioni normative su cosa fare e come farle, senza calpestare la loro “sovranità formativa”. Lascio ai miei lettori l’interpretazione di questa locuzione che prescinde dalla qualità giuridica dell’autonomia scolastica che - è bene non alimentare equivoci - è espressione di autonomia funzionale, limitandosi a provvedere alla definizione e alla realizzazione dell’offerta formativa. Ed è questa, infatti, la matrice originaria e primaria dell’autonomia scolastica, la sua stessa ragion d’essere che - a mio parere - è stata calpestata dalla burocrazia e dalle gerarchie ministeriali. Le innovazioni, infatti, non possono nascere dentro le mura ministeriali assumendo la forma amministrativa, ma facendo tesoro della ricerca che, proprio in quegli anni, si è focalizzata sull’idea deweyana di curricolo, basato sul metodo della ricerca, esperienza e riflessione per approdare, più di recente, alla transdisciplinarità che - come ci indica il pedagogista Lucio Guasti nel suo prezioso contributo - per un verso “è il processo di conoscenza di ciò che trascende i confini disciplinari e comporta una grande riconfigurazione delle divisioni disciplinari all’interno di un mondo multi-realtà e complesso” e, per un altro, “la transdisciplinarità può essere pensata come un metodo di ricerca che porta attori politici, sociali ed economici,… alla costruzione della conoscenza e alla soluzione di problemi sociali che esulano dai confini disciplinari”.
Vogliamo segnalare, a proposito di curricoli, obiettivi e competenze i contributi di Loto Montina e di Flavia Marostica: il primo ha un approccio più operativo perché è centrato sulla scelta degli obiettivi di apprendimento, mentre il secondo passa in rassegna alcuni concetti nuovi, frutto della ricerca pedagogica negli anni 90 e poi introdotti nella normativa scolastica, come il curricolo che l’autrice, citando uno scritto di L. Guasti del 1999, definisce come il «progetto di costruzione di un percorso di apprendimento». E di curricolo ci parla Maria Rosaria Mazzella che riporta un’esperienza di innovazione nel curricolo di matematica che viene realizzata nell’istituto comprensivo che presiedeva, che ha preso avvio dal “ripensare concretamente alla didattica della matematica anche in termini di trasversalità e di trasferibilità dei saperi, consapevoli che con il passaggio alle società dell’informazione e della conoscenza e con le nuove sfide economiche, c’è stato un aumento della domanda di abilità e competenze come la creatività, la risoluzione dei problemi e il pensiero critico…abilità e competenze che potrebbero, appunto, essere sviluppate dalle scuole attraverso un’integrazione significativa delle discipline”.
Infine, vogliamo segnalare il contributo di Anna Armone che, nella rubrica a lei affidata, “Il dirigente e il suo staff”, tratta dell’abuso dei mezzi di correzione, ovvero quelli che comunemente vengono denominati con il termine di punizioni. Riportando alcune significative sentenze della Cassazione Penale, la giurista ci spiega l’evoluzione di questo particolare delitto e di come viene trattato in sede giurisdizionale allorché si evidenzia che “ai fini della valutazione della condotta deve tenersi conto che nel rapporto tra insegnante e bambini affidati alle sue cure assume predominante rilievo il profilo educativo, rispetto al quale il bambino deve essere considerato non destinatario passivo di una semplice azione correttiva ma titolare di diritti, a cominciare da quello alla propria dignità, che implica in ogni caso un’azione volta a realizzare l’armonico sviluppo della sua personalità”. E che sia proprio la magistratura a sottolineare il campo d’azione proprio della scuola - quello della relazione educativa - ritengo che non vada sottovalutato. X