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DIRIGERE LA SCUOLA N.1/2022
Riecco gli scrutini, i giudizi, i voti… i voti?!
Editoriale di Vittorio Venuti
Tempo di scrutini, tempo di giudizi e voti. Un richiamo al drammatico significato che può assumere il voto è stato evidenziato dal triste evento del quattordicenne che si è lasciato cadere dalla finestra dell’aula, in un cambio dell’ora, dopo che, in precedenza, l’insegnante aveva attribuito un voto insufficiente a tutti gli alunni avendoli trovati impreparati in una interrogazione “a sorpresa”. Può un brutto voto determinare uno sconvolgimento tale da indurre al suicidio?
Non vogliamo unirci al coro di quanti hanno cercato di indagare su questo aspetto e, sul caso, preferiamo il silenzio nel rispetto del giovane e della sua famiglia. La scuola non può che piangere per un altro “figlio” perduto e interrogarsi ancora, e con più insistenza, sul valore del voto al di là di questa tragica vicenda.
Si dice che la scuola sia rimasta la stessa da tempi ormai immemorabili e che, nel frattempo, lo scenario socio economico, nel quale la scuola insiste, sia mutato e gli alunni non siano più quelli di una volta; il mondo si sia ristretto in un telefonino e internet rappresenti l’oceano nel quale si nascondono tutti i tesori, tutta la conoscenza dei libri e, anche, tutte le insidie possibili, ma... . Ma la scuola è rimasta più o meno la stessa. Tranne qualche illuminata eccezione: cattedra, banchi, lavagna tradizionale e, nelle situazioni più all’avanguardia, computer e LIM. L’impostazione, comunque, è sempre la stessa e giudizi e voti restano il perno attorno al quale ruotano le relazioni insegnante-allievo e insegnamento-apprendimento, quasi sempre distanti dalle clamorose esortazioni della psicologia e della pedagogia che, da oltre un secolo, spingono per una loro riconsiderazione, sulla scorta di evidenze anche scientifiche.
Se per i giudizi della Primaria si può spingere perché si formino gli insegnanti a comprendere che non possono essere assimilati ai numeri e che devono assumere valenza formativa non solo per gli alunni ma anche e soprattutto per gli stessi docenti - avendo sempre come traguardo la promozione della persona dell’alunno -, per i voti non si può che dire “basta!”, non servono, sono un imbroglio così come vengono espressi, sono il retaggio di una scuola che non ha il coraggio di rinnovarsi, di comprendere che il suo tempo si è esaurito da un bel po’. Qui non si tratta di mettere in discussione la valutazione, ma riflettere sul suo significato di “misurazione” e sugli esiti che produce in termini di promozione o bocciatura.
Per la precisione, si tratta di comprendere quale significato ha oggi una scuola che attribuisca voti e licenzi o bocci sulla base di numeri. Si può affermare che questo che sia eticamente corretto? E su quali basi? Probabilmente c’è da riflettere sul senso e sul modo di fare scuola, visto che l’istruzione, la formazione e l’educazione devono essere appannaggio di tutti al di là della loro età e nel rispetto delle caratteristiche che li definiscono, intendendo tra le caratteristiche i talenti, le disposizioni, le capacità cognitive, e laborative ed apprenditive di ciascuno. La scuola deve essere in grado di sedurre gli alunni, perché si affermi la “valenza erotica” dell’insegnamento come dell’apprendimento. La scuola deve modificarsi e riformarsi già dalla primaria, che invece si è progressivamente “secondarizzata”, divenendo esattrice di prestazioni e abdicando alla sua missione di accompagnamento, orientamento e promozione dello sviluppo dei bambini, che non avviene a comando. Già durante la primaria capita di vedere i famosi “passerotti” di Don Milani lanciati in aria senz’ali.
La scuola deve essere un luogo in cui i ragazzi vanno volentieri, perché la relazione che hanno stabilito con gli insegnanti è rassicurante, allegra, serena; perché riconoscono nell’insegnante un alleato, perché l’insegnante passeggia tra i banchi ed entra in contatto con tutti, perché non è prevenuto, perché dà a tutti credito, perché affascina col suo modo di spiegare, perché riconosce di non sapere tutto ma di essere disposto ad imparare, perché riesce a prestare attenzione a tutti non solo come alunni ma specialmente come persone. Il voto è anche la misura di come l’insegnante ha interagito con l’allievo, di come ha adattato a ciascuno il proprio linguaggio e lo stile d’insegnamento, di come ha saputo tradurre i contenuti, di come ha rilevato i punti di forza e di debolezza di ognuno e di come ha intercettato le strategie didattiche più opportune. Il voto rispecchia sempre una duplice aspetto: la prestazione dell’allievo da una parte e la prestazione dell’insegnante dall’altra. Il voto è l’esito di una negoziazione, esplicita o implicita che sia. Ma sono da intendere, come oggetti di negoziazione, anche le spiegazioni dell’insegnante, i compiti che si assegnano, le interrogazioni, gli adattamenti dei contenuti, i contenuti stessi. Ogni relazione comporta una negoziazione.
Il discorso, come si può notare, è lungo e non può trovare soluzioni se non nella sensibilità degli insegnanti. La scuola deve cambiare, questo è fuor di dubbio, e il voto è una delle calamità più importanti del nostro sistema d’istruzione, che richiede di essere presa al più in considerazione, perché condiziona l’intero impianto scolastico. Si provi ad immaginare cosa succederebbe se si abolisse il voto in favore della valutazione: si sarebbe costretti a modificare dalla base lo stesso sistema. Si vedrebbero le persone!
In chiusura, trovo azzeccata l’attribuzione o di “generazione rancorosa” - coniata da un dirigente scolastico in un post su un social - a quella schiera di intellettuali, dal nome anche prestigioso, che, ricordando i loro tempi, firmano manifesti perché gli esami di Stato siano più severi, perché si torni a bocciare come una volta, perché si torni a dare voti bassi, torni il rigore e non si “regalino” promozioni, perché gli studenti devono sapere cos’è il sacrificio, perché la vita bisogna guadagnarsela... . Sic! Intanto, ai giovani stiamo rubando il futuro e la scuola ancora fa melina.
Panoramica degli articoli.
Apriamo questo primo numero della rivista dell’anno nuovo con una buona notizia per i dirigenti scolastici che riguarda la sicurezza dei locali scolastici. Paolo Pieri nel suo pezzo “Sicurezza a scuola: incremento della formazione e chiarimento del ruolo e dei compiti del Dirigente scolastico” illustra i contenuti della “miniriforma” apportata dal parlamento al D.Lgs. 81/2008 che fa finalmente chiarezza sul ruolo e sui compiti dei Dirigenti scolastici, separandoli da quelli degli Enti locali proprietari degli edifici scolastici. I Dirigenti delle Istituzioni Scolastiche sono stati esentati da qualsiasi responsabilità civile, amministrativa e penale qualora abbiano tempestivamente richiesto gli interventi strutturali e di manutenzione di cui al comma 3, necessari per assicurare la sicurezza dei locali e degli edifici assegnati, adottando le misure di carattere gestionale di propria competenza nei limiti delle risorse disponibili a legislazione vigente.
Francesco G. Nuzzaci commenta la bozza di regolamento messa in circolazione dal MI in ordine al “Nuovo concorso ordinario per titoli ed esami per posti di Dirigente Scolastico”, che sconta l’adeguamento delle procedure previste dalla legge 128/2013 che lo restituiscono, depotenziato, a livello regionale adducendo ragioni di straordinaria necessità e urgenza. Al momento, l’unica novità sembra essere riservata alla preselezione (computer-based e senza alcuna banca dati a disposizione), prevista qualora il numero dei candidati della regione - di una sola regione - prescelta dovesse risultare superiore a quattro volte il numero dei posti messi ivi a concorso. Immutate la prova scritta e quella orale, più critica appare la disposizione relativa al periodo di formazione e prova.
Anna Armone espone “Il diritto di accesso al fascicolo personale del personale della scuola tra accesso documentale e privacy”, nel quale riprende l’articolo 29 del DPR n.686/1957 attuativo del T.U. Impiegati Civili, nel quale si configura il diritto del Dipendente a prendere visione e copia di atti che lo riguardano detenuti dalla P.A. e, a seguire, gli interventi delle successive disposizioni di merito.
Vittorio Trifoglio propone una riflessione su “Le fasi in cui può essere articolata la progettazione di un progetto PON”, nel quale puntualizza il fenomeno per cui, nonostante gli ingenti finanziamenti disponibili, siano molte le Istituzioni scolastiche che faticano nell’utilizzarli, alcune scuole rinuncino addirittura in partenza ed altre in corso d’opera imputandone la causa alle difficolta riscontrate nella gestione dei progetti.
Rossella De Luca focalizza l’attenzione sui “Nuovi strumenti a supporto della gestione documentale delle istituzioni scolastiche” richiamando due note del MI volte a promuovere la messa a disposizione e la diffusione di nuovi strumenti atti a supportare la gestione documentale delle Istituzioni scolastiche, secondo un modello che prevede la digitalizzazione dell’intero «ciclo di vita» dei documenti, dalla nascita (creazione o acquisizione) fino alla conservazione e/o allo scarto, al fine di favorire la trasformazione della gestione documentale da cartacea a “paperless”, ossia dematerializzata.
Filippo Cancellieri discute sui “Presupposti psico-culturali e impieghi della didattica narrativa” partendo dal presupposto che la diffusa disaffezione all’impegno e allo studio degli allievi è, almeno in parte, ascrivibile alla sopravvivenza di strategie d’insegnamento impermeabili a pratiche didattiche attive, creative, laboratoriali, narrative; fenomeno che si manifesta in maniera minore nel settore della primaria e dell’infanzia, ma che si avverte con maggiore insistenza nelle secondarie, dove i processi di insegnamento logico-deduttivi, i costrutti e le mappe teorici, le sistemizzazioni disciplinari pervadono gli stessi saperi umanistici.
Michela Lella pone l’inquietante interrogativo: “Torneranno a sorridere i nostri bambini?”. La questione si pone maggiormente adesso che sono stati coinvolti nella campagna vaccinale 5 - 12 anni, fascia d’età considerata l’anello debole nella catena dei soggetti maggiormente esposti alle insidie della pandemia. Quali effetti avrà su di loro la limitata attivazione dei percorsi di socializzazione, che ha indebolito i legami di comunità descrivendo un habitat scolastico insolito e, per lo più, estraneo alla vita reale?
Stefano Stefanel porge all’attenzione “La cultura di whatsapp e il dirigente scolastico”. È indubbio che questo social stia prendendo sempre più piede nel mondo scolastico essendo strettamente connesso con l’apprendimento informale e risultando in palese contraddizione con l’impostazione classica e generalizzata del nostro sistema scolastico. Nel rapporto tra whatsapp e scuola si possono isolare diverse tipologie di aggregazioni, che hanno una ricaduta diretta sull’attività didattica, organizzativa e gestionale; in ambito strettamente didattico. L’uso autonomo del digitale e soprattutto di whatsapp condiziona l’apprendimento linguistico degli studenti senza che la scuola sia stata finora in grado di fare alcunché.
Michele Di Filippo, “Per un’Europa più ecologica, digitale e resiliente”, si riferisce al Piano finanziario straordinario approvato a luglio 2020 dal Consiglio Europeo e denominato Next Generation EU, attivato per fronteggiare la grave crisi generata dalla pandemia da Covid-19. Nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) approvato dal governo italiano sono stati destinati 26,1 miliardi di euro alla missione istruzione e ricerca, avendo a riguardo due linee d’azione: il potenziamento della didattica e il diritto allo studio, e la missione dalla ricerca all’impresa.
Ada Maurizio, per la rubrica CPIA, prospetta “Dalla parte degli ultimi: una sfida pedagogica che viene dal passato”, evocando la storia di Don Roberto Sardelli che, parallelamente a Don Milani, ha segnato profondamente la “pedagogia degli ultimi” volgendo lo sguardo ai ragazzi che vivevano nell’indigenza sociale e culturale della baraccopoli romana, a suo modo un precursore della “scuola capovolta”.
Mario Di Mauro, per la Scuola in Europa, propone “Strano rebus quello del rapporto tra istruzione e formazione…”, interrogandosi se e quanto possa essere risolutivo o solo accomodante il 2030 dell’Agenda OECD per poter competere con profitto tra continenti, un convinto proposito nel far fronte ad ogni situazione di difficoltà in cui un paese può trovarsi rispetto ad altri. Un ruolo importante giocheranno istruzione e formazione da intendere finalmente e sostanzialmente insieme.
Vittorio Venuti, per la rubrica di Psicologia della gestione, focalizza la sua attenzione su “Gli studenti con disabilità tra orientamento e autoconsapevolezza”, rilevando l’importanza di considerare che ciascuno si evolve guardando contemporaneamente a se stesso, alla società e al lavoro, tre aspetti che sottendono tre processi strettamente correlati ed inseparabili, che trovano la loro consistenza e finalizzazione nella capacità di operare delle scelte. Per gli allievi con disabilità le difficoltà ad impossessarsi di una strategia decisionale sono consistenti quanto più grave è il deficit, eppure è certamente possibile fornire loro una modalità strategica, come conferma la psicologia della mediazione.
Stefano Callà, per la rubrica i Casi della Scuola analizza, attraverso il commento di due decisioni del Tar Friuli Venezia Giulia, la procedura ad evidenza pubblica per giungere alla Nomina del Responsabile della protezione dei dati (DPO) nella pubblica amministrazione.
Valentino Donà, per lo Sportello Assicurativo, propone il caso di un alunno che ha subito un sinistro durante l’attività di educazione fisica ricevendo certificazione medica dal Pronto Soccorso, certificato poi respinto dalla Compagnia di Assicurazione in quanto prodotto dal Pronto Soccorso dopo le 24 ore dall’evento. X